Una sera di quattro anni fa la televisione rovinò la cena di milioni di italiani facendo vedere bidoni colmi di liquame putrescente composto da uova marce, cadaveri di pulcini, parassiti vari ed altre schifezze che venivano comperati da molte industrie alimentari per produrre panettoni, pandori, merendine per bambini, tortellini, colombe pasquali e altri cibi.
Rifiuti maleodoranti al posto di uova fresche. La Guardia di Finanza e i Carabinieri intervennero con decisione e alcuni industriali furono arrestati, altri indagati. Anche alcuni veronesi.
Scrissi allora su alcuni giornali che le confezioni di generi alimentari negli scaffali dei supermecati e nei negozi, nella stragrande maggioranza dei casi, riportavano tra gli ingredienti la indicazione generica “uova” che può significare tutto e il peggio di tutto, e non quella più chiara e, sembra, più rassicurante, “uova fresche”.
Aggiungevo che. mentre venivano resi noti i nomi dei venditori di quei bidoni contenenti quelle schifezze, restavano nel buio più completo i nomi di quegli imprenditori che con quella immondizia impastavano panettoni, gelati, pandori, tortellini, merendine ecc. e li mettevano sul mercato e che ai cittadini proprio questo interessava: cioè sapere cosa compravano e portavano sulla loro tavola.
Non ci fu niente da fare. I nomi dei fabbricanti di quei cibi schifosi non furono mai resi noti, non vennero mai pubblicati nemmeno dalle riviste nazionali delle Associazioni dei consumatori alle quali anche mi rivolsi.
Aggiungevo ancora che una sola grande azienda dolciaria, la Bauli, aveva sentito il lodevole obbligo di rassicurare i consumatori, con un inserto pubblicitario in televisione, con il quale assicurava che nei suoi prodotti venivano usate solo uova fresche.
Perchè ne parlo ancora? Perchè apprendiamo in questi giorni dalla stampa che la vicenda delle uova marce tra ricorsi, tempo trascorso, ecc. sta finendo in nulla sia perchè i venditori di quei bidoni “non erano consapevoli di partecipare ad una associazione per delinquere” sia perchè, e qui siamo all'incredibile, “gli acquirenti finali erano IGNARI della natura della materia acquistata con la quale realizzavano il prodotto”!
Ma quando versavano nell'impastatrice le nefandezze contenute in quei bidoni, la puzza, prima di neutralizzarla con altre porcherie, non la sentivano?
Forse si tappavano il naso ma, più probabilmente, non ci facevano caso perchè la puzza nei loro prodotti era un ingrediente “normale”.
Normale è anche che a rimetterci sia, come sempre, l'ultima ruota del carro. In questo caso i consumatori.
Ora vediamo come si tutelano, anzi come non si tutelano, i nostri monumenti e come non si tutela no pure i soldi dei cittadini.
L'abbiamo ricordato un paio di settimane fa qui a Radiopopolare: l'antichissima chiesa dei Santi Apostoli in corso Cavour, sta perdendo i pezzi perchè, lì vicino e lì sotto, stanno scavando per fare un parcheggio sotterraneo.
La relazione tra causa (scavo) ed effetto (crolli) è di una evidenza tale che solo la ditta che sta scavando ha il coraggio di negarla. E, secondo me, dovrebbe essere altrettanto evidente che “chi rompe paga”.
E invece no. Il Comune ha già sborsato 35 mila euri perle prime riparazioni e sta invitando tutti i cittadini ad una sottoscrizione per salvare la chiesa e si oraganizzano anche concerti per raccogliere fondi.
Io penso, e propongo, che ci si debba muovere in tutt'altra maniera: non sborsare neppure un euro di danaro pubblico e, anzi, farsi restituire quello già dato se è stato dato (del che dubito) e il parroco e la Diocesi facciano denuncia e la Procura inizi una indagine per danneggiamento di bene pubblico e si pretenda il risarcimento da chi ha provocato il danno e cioè, oltre che dalla ditta costruttice, anche dai titolari dei singoli garage, cioè dai committenti, e da quei consiglieri comunali che, a suo tempo, hanno votato il dissennato piano dei parcheggi sotterranei in pieno centro storico, centro storico nel quale tutti sanno, o dovrebbero sapere, che è meglio non mettere le mani.
Giorgio Bragaja
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