05 febbraio 2011

A radiopop 4-2-11 su “L'Arena”, la banca, la Glaxo, due libri, Di Dio, Avatar...

Domenica “L'Arena” è uscita con una prima pagina diversa dal solito, speciale, con un grande tricolore, il titolo”Povera Italia”, un elenco di tutte le cose che non vanno e di quelle che dovrebbero essere fatte e non si fanno e l'articolo del direttore Maurizio Cattaneo.

Nei giorni seguenti il giornale ha pubblicato numerose lettere di consenso per quella pagina. Nessun lettore che dissentisse, nessuno che esprimesse qualche dubbio.

L'ho letta più volte quella pagina e la rilettura mi ha confermato, rafforzandola, la prima impressione: una pagina di giornale e un articolo di fondo indegni.

Tutti sono messi sullo stesso piano. In Parlamento c'è la “rissa” il che fa pensare che le ragioni e i torti siano ugualmente ripartiti, le notti di Arcore e l'appartamento di Montecarlo stessa cosa, la magistratura è “borbonica” per cui è lecito pensare che gli inquisiti siano vittime e, oggi, chi è l'inquisito principale anche se mai nominato in quella pagina?

Tutto è un “andazzo che deve finire” cioè una moda, una usanza spregevole che riguarda tutti allo stesso modo, gli operai della Fiom e le escort di Arcore, la Bocassini e Lele Mora, i precari che protestano e i deputati che si fanno comprare.

“Meno tasse”. Per tutti? Per i lavoratori dipendenti come per i grandi manager.

E allora ecco che il coraggioso direttore de “L'Arena”, ignaro della misura, conclude così: “Diciamo forte e chiaro che è ora di dire basta!”. Basta a chi? Alla Procura di Milano o a Berlusconi?
Gli dà manforte, un paio di giorni dopo, un altra penna importante de”L'Arena”, Michelangelo Bellinetti, che esorta: “Basta con le uguali menzogne, c'è bisogno di un po' di silenzio”.

Secondo voi, oggi come oggi, con questi chiari di luna, “un po' di silenzio” a chi giova?

Qualcuno può osservare che anche il Presidente della Repubblica ha invitato ad abbassare i toni e Berlusconi si è detto d'accordo.
E' vero, ma abbassare i toni non vuol dire fare silenzio e non è la prima volta che il capo del Governo si dice d'accordo con il Presidente della Repubblica e poi continua a fare quel che vuole.

E poi non è detto che quel che dice Napolitano sia sempre giusto e appropriato ai tempi.
Io, per esempio, penso che per “questi” tempi una parola più chiara sarebbe la benvenuta.

Altro argomento: la Glaxo.

Sempre “L'Arena”, un paio di settimane fa, pubblicava la cronaca della gioiosa visita alla struttura Glaxo-Aptuit di Verona da parte delle autorità . C'erano il sindaco, consiglieri comunali rappresentati dell'università, della Confindustria, della Camera di commercio e altri.

La parte della Glaxo destinata alla ricerca, come si sa, prelevata dalla americana Aptuit, sarà, così dichiaravano i dirigenti, incrementata nel suo valore di istituto di ricerca e diventerà una eccellenza a livello mondiale.
Tutti contenti e soddisfatti.

La Glaxo fu smembrata l'anno scorso in tre parti secondo una tecnica ben collaudata: la parte ricerca agli americani della Aptuit, la parte industriale e quella della commercializzazione restarono alla Glaxo.
Non fui certo il solo a dirlo ma lo dissi ben chiaramente che quella era la classica strada per un drastico ridimensionamento, soprattutto occupazionale, della azienda.

E, infatti, lo stesso giornale cittadino l'altro giorno dopo la cronaca di quella gioiosa visita, visita e relativa cronaca fatte per indorare la pillola amara che sarebbe arrivata subito dopo, informa che: “Verona rimane centrale ma la Glaxo taglia 246 posti di lavoro”.

Che poi sono in realtà poco meno di 500.
Infatti gli esuberi saranno: i 246 di cui sopra più 130 altri informatori che usciranno con gli incentivi, altri 26 contratti a termine non rinnovati più altri esuberi non specificati.
A cosa avrà gioiosamente brindato l'allegra compagnia in visita allo stabilimento?

Le banche.

Il colpo è riuscito solo in parte. Tosi, la Lega, dopo essere entrati in forze nella Fondazione Cariverona, volevano ripetere l'operazione con la Popolare, sia pure in modo indiretto, occupandola con quote di danaro della Fondazione.
Nonostante l'aiuto di un parlamentare veronese del Partito Democratico il gioco non gli è riuscito completamente e si deve accontentare di una presenza dello 0,5% e non del 5% .

E' invece riuscita l'operazione di salvataggio in favore del presidente Biasi.
Di cosa si tratta? E' semplice: lo Statuto della Fondazione, che è Ente morale, prevede che chi è condannato anche in primo grado non possa occupare posti di responsabilità all'interno della Fondazione e tanto meno farne il presidente. Biasi, il presidente Biasi, nei prossimi giorni dovrà affrontare due processi per bancarotta preferenziale e, dicono, con poche probabilità di essere assolto.
E allora cosa decide, all'unanimità, il consiglio generale della Fondazione con soddisfazione del sindaco? Cancella quella norma dallo statuto così Biasi, anche se condannato, potrà continuare a fare il presidente.
Classica norma “ad personam”. Berlusconi docet.

Tosi, a Biasi, doveva pur qualcosa per aver agevolato l'ingresso della Lega in Fondazione ma i componenti del consiglio? Tutti d'accordo?
Il miglior commento? Quello della consigliera provinciale dell'Italia dei Valori Sonia Milan: “Se Tosi e Biasi dichiarano che la norma non sia “ad personam” significa che gli stessi non ritengono i cittadini veronesi capaci di intendere e di volere, stupidi a tal punto da non riconoscere nemmeno l'evidenza dei fatti”.

Ora due bei libri.
Uno, scritto da ricercatori dell'Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell' età contemporanea edito dalla Cierre: “Dal fascio alla fiamma” fa la storia, documentata, rigorosa, dal Fascio fino al Msi. Niente retorica, niente astio, una visione senza concessioni a stereotipi consolidati.
Il secondo di Donatella Levi, in seconda edizione, sempre per la Cierre, “Vuole sapere il nome vero o il nome falso?”. E' la cronaca delicata e forte della vita di una bambina ebrea veronese di quattro anni, e della sua famiglia, al tempo delle leggi razziali.

Per l'assessore Di Dio e il film Avatar non c'è più tempo. Sarà per la prossima volta.

Giorgio Bragaja

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