12 febbraio 2011

Questo venerdì, 11-2-2011, salta il mio intervento a radio popolare perché le strutture dell'emittente (non megagalattiche) sono impegnate in una iniziativa esterna e allora metto sul mio blog alcune note su:
Berto Perotti, la mela marcia di Zenti, e altro

L'Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell'età contemporanea ha voluto ricordare Berto Perotti in occasione del centenario della sua nascita.

Berto Perotti fu uomo libero, antifascista, insegnante, scrittore, uomo della Resistenza, internato in campo di concentramento.
Il ricordo commovente della figlia Laura in una sala dell'Istituto gremita.
Perotti è stato insegnante in Germania e in Italia.

Un ricordo personale: anno 1965 o 1966, insegnavamo nelle stesse classi di un istituto veronese e, come d'uso durante ogni anno scolastico, c'era da fare “la gita” fuori dai confini.
Quell'anno portammo le nostre classi in Austria, a Monaco: il museo della Scienza e della Tecnica, la Pinacoteca e altro.

Berto propose di portare gli studenti anche in una località non lontana da Monaco per visitare un istituto scolastico che aveva qualche somiglianza con quello dove insegnavamo noi.
Fummo accolti molto cordialmente dalla preside.
La preside si chiamava Scholl, Elisabeth Scholl. Era la sorella di Hans e Sophie i due giovani studenti antinazisti della “Rosa bianca” fatti decapitare da Hitler.

Naturalmente la visita si svolse normalmente con incontri con gli allievi dell'istituto e i loro insegnanti ma, altrettanto naturalmente, non mancò, nell'incontro con la preside, il ricordo e il racconto della vicenda che portò i suoi fratelli alla morte.
Non so se quella visita fosse prevista all'interno del programma della gita scolastica, penso di no, quelli erano anni, prima del '68, durante i quali certi argomenti, Resistenza, antifascismo... non erano molto graditi (i libri di storia si fermavano al 1918) ma Berto Perotti, evidentemente, pensò, invece, che quella fosse una buona occasione per parlarne.

Ancora oggi qualche mio allievo di allora, incontrandomi, mi parla di quella “gita” e del “professor Perotti” e della “Rosa bianca”.
Berto Perotti seminava.

La mela marcia.
Come sanno quelli (pochi? un po' più di pochi?) che mi ascoltano a radio popolare o che mi leggono sul mio blog, non ho molta considerazione del vescovo Zenti.
Direte: si sa, sei ateo. Non è questo il punto. Io, pur non essendo della parrocchia, ho rispetto per chi crede e so che un vescovo, in una città, ha un grande peso non solo religioso ma anche sociale e politico e dunque mi interessa quel che dice e quel che fa.

Tra l'altro ha un settimanale, “Verona Fedele”, letto da molti e ogni settimana il giornale “L'Arena” ospita un suo lungo intervento e io qualche volta lo critico. Sono interventi, quelli del vescovo che cominciano con il titolo e otto, nove righe in prima pagina e poi continuano nelle pagine interne.

L'articolo dell'altro giorno cominciava così in prima pagina: “Il fenomeno è assai noto ai contadini: basta una mela bacata per marcirne un cesto. Vale il medesimo principio anche nella vita sociale? Una società civile democratica ha i mezzi per premunirsi, e immunizzarsi, dai contagi di comportamenti che sono ritenuti non civili?” e qui si interrompeva rinviando a pagina 20.
Piacevolmente sorpreso pensai:”Finalmente! Zenti si è deciso e, per la prima volta, parlerà, anche lui di quel che succede ad Arcore come hanno fatto tanti suoi colleghi e come continuano a fare i giornali cattolici come Famiglia Cristiana e L'Avvenire”.
Ma avevo capito male. A pagina 20, con migliaia di parole, dimostrava come, in una compagnia di adolescenti, basta che ce ne sia anche solo uno cattivo per rovinare tutti gli altri e metteva in guardia contro discoteche e altri luoghi di perdizione.

Non ho parole. A fare il paio il suo sodale, don Fasani, scrive oggi su “Verona fedele”: “Ci penserà la storia a giudicare se era il caso di condannare in tribunale un sindaco come Tosi accusato di razzismo, per essersi espresso a favore della chiusura dei campi nomadi. Se lo avesse fatto a Roma , oggi non saremmo qui a piangere quattro vittime innocenti, vittime della società e delle loro famiglie.” Nefando. Come se il comportamento di Tosi, condannato giustamente dai giudici, non avesse, tra i primi, contribuito a consolidare quel clima di emarginazione e di intolleranza che è alla base di tutte le tragedie che riguardano i nomadi, quella di Roma compresa.

Il film Avatar.
Perché ne parlo? Potrei rispondere: perché sono un appassionato di cinema (il che è vero) ma non è per questo. E' perché anche quasi tutti i giornali e i periodici di sinistra ne hanno parlato bene.

Esprimo, inutile dirlo ma lo dico, un parere assolutamente personale: penso che Avatar sia un film bruttissimo e credo che in cuor loro lo pensino anche tanti che, a sinistra, ne hanno scritto bene. E' banale, non c'è un minimo di emozione, è l'opposto della fantasia e dell'immaginazione, ridicolo, ridondante.....però spaccia alcune tesine ecologiche e sociali e allora alla sinistra va bene. Io penso, semplicemente, che se un film è brutto è brutto. Tutto lì. E bisogna dirlo se no si è poco credibili anche su altre cose.


La situazione generale è complicata ma non solo complicata.
Una volta si parlava di “vigilanza democratica”. Chissà cosa si intendeva.


( giorgiobragaja.blogspot.com)

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