06 novembre 2010

Intervento a radiopop 5-11-2010 pioggia e cemento,.. anche l'Adige

La senatrice veronese del PdL, Cinzia Bonfrisco, così riportano i giornali, dichiara: “ mi sono attivata per far giungere a Verona il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso”.
Con tutto l'Est veronese sotto acqua, con la gente di Monteforte e Soave, alla disperazione, con frane e smottamenti nelle nostre montagne e sul lago di Garda, se la senatrice Bonfrisco non si fosse “attivata” Bertolaso che, appunto, è il capo della Protezione Civile sarebbe andato in vacanza alle Bahamas?
Miserie. Sicuramente la senatrice avrebbe fatto meglio ad “attivarsi” prima per impedire che il suo Governo tagliasse, come ha fatto, di oltre il 60% i fondi per l'ambiente.

Dunque un disastro, una tragedia per intere popolazioni nel veronese e in tutto il Veneto.
Già, il Veneto. Il Veneto è il territorio che, in Italia, è stato il più stravolto e in tempo più breve da generazioni di amministratori pubblici irresponsabili.

L'Istat (l'Istituto nazionale di statistica) rileva che: ogni anno,tra il 1978 e il 1985, nel Veneto, sono stati edificati quasi 11 milioni di metri cubi di capannoni.
Poi dal 1986 al 1993 sono stati oltre 18 milioni di metri cubi all'anno per salire ancora negli anni successivi a oltre 20 milioni di metri cubi Poi un balzo: nel 2000 27 milioni di metri cubi, 38 nel 2002 e così via.
Per le abitazioni, negli anni '80 e '90, vennero rilasciate concessioni edilizie pari a 10 milioni di metri cubi l'anno. Nel 2002 sono diventate14 milioni, nel 2003 quasi 16, nel 2004 oltre 17.
La superficie agraria nel Veneto, in pianura e in montagna, in 20 anni è diminuita del 30 %.

Ora, in provincia di Verona, si è deciso, con il progetto del MotorCity tra Vigasio e Trevenzuolo, di gettare una colata di cemento su 4 milioni di metri quadrati di superficie agraria che non assorbirà più l'acqua piovana.
E con un parco divertimenti grande quasi il doppio di Gardaland e un Centro Commerciale cinque volte più grande della “Grande Mela”.

Non c'entra “Roma ladrona”. In Veneto c'è stato un furto di territorio, una devastazione ambientale a chilometro zero, tutta roba nostra, Doc, Denominazione di origine controllata al 100%.

Nell'area veneta, oggi colpita dall'alluvione, sempre dati Istat, ci sono 80 mila abitazioni senza inquilini, vuote, 9 mila solo a Verona.
Negli ultimi 6 anni i Comuni veneti hanno autorizzato 38 milioni di metri cubi per capannoni e 18 milioni di metri cubi per abitazioni.
Anche se rimanessero costanti i tassi di incremento demografico, immigrati compresi, ci vorrebbero15 anni per utilizzare tutte le abitazioni costruite.
Una follia programmata sulla pelle dei cittadini e sui conti in banca dei soliti pochi.

Il senatore leghista Bricolo ha chiesto che vengano tolti dal bilancio dello Stato i soldi per le celebrazioni dell'unità d'Italia per aiutare le popolazioni colpite dall'alluvione.
Non i soldi, molti, per il devastante ponte sullo stretto di Messina ma i soldi, pochi, per le celebrazioni dell' unità d'Italia.

E ora parliamo del nostro fiume, l'Adige. Facciamo pure tutti gli scongiuri del caso ma penso sia meglio parlare prima piuttosto che piangere dopo.

Il 31 gennaio del 2003 “L'Arena” pubblicò un mio intervento con il quale ricordavo la piena del 1966 e affermavo che in quella circostanza la nostra città si salvò solo per alcune straordinarie circostanze favorevoli.
Durante quella piena l'Adige, a Verona, era ancora in “magra” ( oggi no) mentre, invece, a nord, ruppe in nove punti e Trento fu completamente allagata alleggerendo così la portata del fiume prima che l'ondata di piena arrivasse da noi.
La massima piovosità era concentrata non da noi ma nell'area del Brenta, il lago di Garda era “basso” (oggi no) e così ebbe modo di accogliere l'acqua proveniente dalla galleria scolmatrce di Mori-Torbole e il Mincio poteva scaricare a Sud e il secondo affluente dell'Adige, il Noce, fu imbrigliato dal serbatoio trentino di Santa Giustina.

Tutte quelle condizioni comportarono la salvezza di Verona che, tuttavia, quando arrivò il colmo della piena, subì danni nei muraglioni e zone della città e della periferia furono allagate.

Ma ora le cose sono cambiate: Trento imparò la lezione, incanalò i torrenti e gli affluenti e murò la città con il risultato però di rendere il fiume più alimentato, con più portata e più veloce e dunque più pericoloso per Verona.
Concludevo quell'intervento così: “se oggi, 2003, dovessero ripetersi le condizioni atmosferiche di allora Verona andrebbe sotto” e chiedevo che il Comune di Verona programmasse interventi coordinati con Trento e Mantova per mettere in sicurezza il territorio percorso dal fiume.

L'allora assessore regionale Giorgetti mi accusò di fare dell'allarmismo dicendo che Verona non era a rischio perché si era fatta la pulizia e la manutenzione degli argini e che in caso di piena bastava la galleria di Mori-Torbole.
Cioè non si era fatto niente. Da allora più nessuna notizia.

Sarebbe bene che qualche consigliere comunale e provinciale chiedesse al sindaco e al Presidente della Provincia se con Trento e con Mantova è stato concordato di fare qualcosa o, meglio ancora, se è stato fatto qualcosa.
Temo che non sia stato fatto nulla. Speriamo.

Giorgio Bragaja

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