intervento a radiopop 26-11-2010
Due sentenze della Corte di Appello di Venezia e altre cose.
La prima sentenza:
La Corte di Appello di Venezia ha praticamente stravolto il giudizio emesso dalla Corte di Assise di Verona per i cinque imputati per la morte di Nicola Tommasoli.
Dieci anni e quattro mesi per Veneri e Perini, già condannati a quattordici anni. Due assolti, Dalle Donne e Corsi, prima condannati rispettivamente a dodici e dieci anni.
L' “Assemblea cittadina 17 maggio” rileva come “permanga irrisolto il nodo fondamentale di questa vicenda nodo che la città ha eluso e cioè che la vita di questi ragazzi imputati è intimamente collegata con le idee della destra estrema, di chi pratica e coltiva l'aggressività, quando non la violenza, come propria componente identitaria.
Volevamo impedire che la memoria dell'assassinio di Nicola Tommasoli fosse cancellata, volevamo impedire che si consolidasse questo silenzio, apparentemente apolitico ma, in realtà, fortemente politico perché inteso a difendere un certo tipo di cultura oltre che la strategia del potere che governano questa città.....anche la recente sentenza per la strage di piazza della Loggia a Brescia (nessun colpevole) ci mette di fronte a una crudele evidenza: in questo Paese l'impossibilità di formulare condanne si trasforma, inesorabilmente, in un opera di diseducazione civile”. Parole sante.
La seconda sentenza.
Per l'aggressione fuori dal bar Posta di piazza Viviani del 4 gennaio 2009 quando un gruppo di estrema destra ferì una ragazza che si lamentava per i loro cori razzisti, la Corte di Appello di Venezia ha confermato la condanna di primo grado a tre anni e otto mesi per Claudio Pellegrini e a due anni e due mesi per Andrea Iacona.
Se la cava completamente invece Luca Cugola (che in primo grado era già stato assolto ma però con formula dubitativa), per “proscioglimento procedurale”, solo per un vizio di forma tanto è vero che il presidente del tribunale ha ritenuto di dover rimarcare il fatto e cioè che l'assoluzione era dovuta essenzialmente alla bravura dei difensori che avevano rilevato l'errore procedurale più che al giudizio sugli avvenimenti e all'effettiva provata estraneità di Cugola al fatto cioè alla sua non colpevolezza.
Credo di aver riassunto con sufficiente precisione l'esito dei due processi e il giudizio, naturalmente del tutto condivisibile, espresso da l' “Assemblea cittadina del 17 maggio”.
Ora una mia considerazione: hanno avuto la meglio, quelli tra gli imputati (e le loro famiglie), che hanno avuto l'accortezza, che hanno saputo, e potuto, scegliersi i difensori migliori (e più costosi) e più presentabili, anche politicamente, sia nell'uno che nell'altro processo.
Difensori che nel processo del bar Posta hanno saputo trovare appigli procedurali e in quello Tommasoli sono riusciti a far passare la tesi, incredibile e fantasiosa, che gli aggressori sarebbero stati lì per caso, che non facevano gruppo (e perciò niente aggravante ) anche se pochi minuti prima, tutti insieme, avevano aggredito un altro ragazzo solo perché aveva un aspetto e un abbigliamento che a loro non piacevano.
Non voglio parlare di “risultati” giudiziari “di classe” ma di “censo” si. Considerando l' habitat sociale di alcuni degli imputati e usando il dialetto, che in questo caso rende bene, si può concludere così: el fiol del becar e el fiol de l'osto dentro, el fiol del dotor fora.
Si dirà che questi sono i meccanismi della giustizia.
Esatto, i meccanismi, non la giustizia.
Lapidaria la dichiarazione del procuratore capo di Verona Giulio Schinaia: “Però, Tommasoli non è morto da solo”. Cioè, non si è suicidato.
Altro argomento.
Il sindaco Tosi aveva pensato bene di far togliere le panchine dai piccoli giardini di lungadige Matteotti perché qualche volta li si riunivano alcuni extracomunitari in attesa di poter mangiare un pasto caldo alla vicina mensa della San Vincenzo.
Mao Valpiana allora aveva comprato una panchina e l'aveva messa là dove erano state tolte quelle del Comune.
Dopo poche ore, su ordine di Tosi, solerti agenti l'avevano divelta, portata via e multato Valpiana per occupazione abusiva di suolo pubblico.
Valpiana ha fatto ricorso e l'ha vinto e non pagherà nessuna multa ma il giardino continua ad essere senza panchine e desolatamente vuoto. Non c'è mai nessuno.
Mentre saranno piene, stracolme, le più belle piazze della città, piene di baracche e baracchine, castelli di cartone, più alti della Loggia di fra Giocondo, pacchi di carta igienica gonfiabili più alti del monumento a Vittorio Emanuele in piazza Bra, alberi di Natale giganteschi dedicati al pandoro in piazza Erbe....
Chissà qualche volta potremo vedere questa città, le sue piazze, occupate da bancarelle di libri, da giovani che ascoltano i versi di un poeta o i ragionamenti di un filosofo?
E' chiedere troppo?
Eppure queste cose succedono ogni anno in città a pochi chilometri dalle scrivanie degli assessori Corsi e Perbellini, a Mantova, a Ferrara, a Modena....
Da noi no.
Ultima notizia.
Leggo su “L'Arena” che:
domani, sabato, alle ore 12 alla FNAC di via Cappello, Ferruccio Pinotti presenterà il suo nuovo libro “La lobby di Dio” libro sicuramente interessante e documentato come i precedenti sull'Opus Dei, sulle Banche....
Tanti sinceri auguri a Pinotti per un meritato successo del suo libro però, però....qualche curioso dovrebbe chiedere all'autore notizie del suo primo libro “Il salario della fede”, scomparso in poche ore dalle librerie e mai più tornatovi e che gli costò non pochi ...contrattempi.
Chi volesse saperne di più può cercare sul mio blog l'intervento a Radio Popolare Verona del 23 giugno 2009
Giorgio Bragaja
26 novembre 2010
19 novembre 2010
intervento a radiopop 19-11-2010 su alluvione di richieste, Arsenale e altro
All'inizio erano una decina, poi diciotto, ora sono diventati trentasei.
E' il numero di Comuni della provincia di Verona i cui sindaci hanno fatto richiesta per poter partecipare alla spartizione dei soldi dello Stato che arriveranno (se arriveranno e quando arriveranno) per il risarcimento dei danni provocati dall'alluvione nel Veneto.
Tolti i Comuni di Monteforte, di Soave, di pochi altri dell'Est veronese e della Lessinia tutti gli altri, fino ad arrivare ai trentasei, sono Comuni nel cui territorio la pioggia non ha provocato nulla di diverso da quello che ci si aspetta, e arriva, quando piove.
Comunque nulla che possa essere definito “disastro”, anche con la più generosa buona volontà.
Il fenomeno della diffusione delle richieste di indennizzo per danni da alluvione, dalla provincia di Verona si sta estendendo a tutto il Veneto, il Veneto sobrio, laborioso, silente, che non si lamenta ma lavora, che non se ne approfitta, che non specula, che si rimbocca le maniche a differenza di altri, “e sappiamo bene chi!”.
Alcuni sindaci dei Comuni veronesi, realmente disastrati, hanno già cominciato a parlare di sciacallaggio.
Parole forti ma non esagerate.
I soldi sono ancora in forse perché nella ordinanza, firmata da Berlusconi in questi giorni, pare non ci sia nulla riguardo al patto di stabilità cioè alla legge che vincola i bilanci dei Comuni e nulla anche per quel che riguarda gli sgravi fiscali richiesti.
In pratica, Monteforte, Soave e gli altri Comuni andati veramente e drammaticamente sott'acqua, o franati, non sanno se possono spendere soldi al di fuori e di più di quelli vincolati dalle previsioni dei loro striminziti bilanci normali.
Il fatto è che questi Comuni i soldi, in più e fuori dal bilancio, li hanno già spesi e li stanno spendendo per aiutare chi ha perso tutto e non può aspettare. E i sindaci dei paesi veramente disastrati perciò sono giustamente infuriati.
I soldi che verranno saranno comunque pochi e diverranno ancor meno per chi veramente ne ha bisogno, per chi ha avuto la casa sommersa, la fabbrica devastata, perché, come si sa, le fette di una torta diventano sempre più piccole mano a mano che aumentano i commensali. E ora i commensali in attesa, solo nel veronese, sono trentasei anziché dieci o quindici e, ma guarda! i commensali infiltratisi “a sbafo” in stragrande maggioranza hanno il fazzoletto verde che spunta dal taschino o un vezzoso foulard verde al collo.
Il vicepresidente leghista della Provincia di Treviso, tale Muraro, quando ha saputo che erano stati arrestati tre serbi mentre stavano rubando nelle case degli alluvionati ha detto: “Sono per la fucilazione”.
Anche per i suoi colleghi sindaci sciacalli?
E intanto la Magistratura ha avviato procedimenti per disastro colposo. Su alcuni perché dell'alluvione vedi sul mio blog, o sul sito di Radio Popolare, l'intervento del 5 novembre.
Altro argomento.
L'ultima proposta per l'Arsenale l'hanno pensata l' assessore Benetti e l'assessore Di Dio.
Il primo ha detto mettiamoci un po' di asili nido e di scuole materne, possibilmente cattoliche.
Il secondo ha detto facciamone appartamenti e negozi.
Uno stenta a crederlo e semmai pensa che i giornali non la dicano giusta ma poi si informa e capisce che è proprio cosi: quelle sono le ultime proposte. Però nessuna meraviglia.
Ora non voglio rifare per la centesima volta la storia del nostro bellissimo Arsenale ma è bene riportare qualcosa alla memoria
L'Arsenale è una struttura imponente sul modello del suo fratello maggiore di Vienna ( a proposito Vienna con le elezioni di pochi giorni fa ha conservato la sua amministrazione di sinistra ora diventata rosso-verde).
Dismesso dai militari, per Verona si era presentata una occasione unica, grandiosa: la possibilità di progettare in grande, di costruire il volto culturale della città.
Lì si pensava potesse esserci il museo di Storia Naturale con annesso uno splendido orto botanico (c'è a Padova, c'è a Modena...) e il completamento del Museo di Castelvecchio con la contemporanea e necessaria acquisizione del Circolo ufficiali che ancora, inutilmente, occupa tutta la parte a monte del castello che dà sull'Adige compresa la splendida terrazza sul fiume
Questo una quindicina di anni fa.
Poi sono cominciate le alzate di ingegno dei vari assessori e consiglieri del centro destra.
Uno stenta a crederlo però ci fu chi propose una grande birreria tirolese, chi un grande parco divertimenti, chi la città dei giochi, chi il magazzino per l'Ente Lirico, chi il museo dei costumi delle opere areniane, chi la caserma dei carabinieri.... e ora, eccome no, appartamenti e negozi.
E intanto va tutto in rovina.
La manifesta incapacità dei nostri amministratori di capire, di rendersi conto di quel che si trovano ad avere, di quello che abbiamo ereditato di bellezza, di cultura, di quello che ne potremmo ottenere per noi e per quelli che verranno, alla fin fine li rende invulnerabili. Come si fa a discutere con costoro? Finiscono per essere inattaccabili perché non ci sono argomenti comuni tra noi e loro. Neppure il linguaggio. Alfabeti e lingue diversi, incomunicabili.
Giorgio Bragaja
All'inizio erano una decina, poi diciotto, ora sono diventati trentasei.
E' il numero di Comuni della provincia di Verona i cui sindaci hanno fatto richiesta per poter partecipare alla spartizione dei soldi dello Stato che arriveranno (se arriveranno e quando arriveranno) per il risarcimento dei danni provocati dall'alluvione nel Veneto.
Tolti i Comuni di Monteforte, di Soave, di pochi altri dell'Est veronese e della Lessinia tutti gli altri, fino ad arrivare ai trentasei, sono Comuni nel cui territorio la pioggia non ha provocato nulla di diverso da quello che ci si aspetta, e arriva, quando piove.
Comunque nulla che possa essere definito “disastro”, anche con la più generosa buona volontà.
Il fenomeno della diffusione delle richieste di indennizzo per danni da alluvione, dalla provincia di Verona si sta estendendo a tutto il Veneto, il Veneto sobrio, laborioso, silente, che non si lamenta ma lavora, che non se ne approfitta, che non specula, che si rimbocca le maniche a differenza di altri, “e sappiamo bene chi!”.
Alcuni sindaci dei Comuni veronesi, realmente disastrati, hanno già cominciato a parlare di sciacallaggio.
Parole forti ma non esagerate.
I soldi sono ancora in forse perché nella ordinanza, firmata da Berlusconi in questi giorni, pare non ci sia nulla riguardo al patto di stabilità cioè alla legge che vincola i bilanci dei Comuni e nulla anche per quel che riguarda gli sgravi fiscali richiesti.
In pratica, Monteforte, Soave e gli altri Comuni andati veramente e drammaticamente sott'acqua, o franati, non sanno se possono spendere soldi al di fuori e di più di quelli vincolati dalle previsioni dei loro striminziti bilanci normali.
Il fatto è che questi Comuni i soldi, in più e fuori dal bilancio, li hanno già spesi e li stanno spendendo per aiutare chi ha perso tutto e non può aspettare. E i sindaci dei paesi veramente disastrati perciò sono giustamente infuriati.
I soldi che verranno saranno comunque pochi e diverranno ancor meno per chi veramente ne ha bisogno, per chi ha avuto la casa sommersa, la fabbrica devastata, perché, come si sa, le fette di una torta diventano sempre più piccole mano a mano che aumentano i commensali. E ora i commensali in attesa, solo nel veronese, sono trentasei anziché dieci o quindici e, ma guarda! i commensali infiltratisi “a sbafo” in stragrande maggioranza hanno il fazzoletto verde che spunta dal taschino o un vezzoso foulard verde al collo.
Il vicepresidente leghista della Provincia di Treviso, tale Muraro, quando ha saputo che erano stati arrestati tre serbi mentre stavano rubando nelle case degli alluvionati ha detto: “Sono per la fucilazione”.
Anche per i suoi colleghi sindaci sciacalli?
E intanto la Magistratura ha avviato procedimenti per disastro colposo. Su alcuni perché dell'alluvione vedi sul mio blog, o sul sito di Radio Popolare, l'intervento del 5 novembre.
Altro argomento.
L'ultima proposta per l'Arsenale l'hanno pensata l' assessore Benetti e l'assessore Di Dio.
Il primo ha detto mettiamoci un po' di asili nido e di scuole materne, possibilmente cattoliche.
Il secondo ha detto facciamone appartamenti e negozi.
Uno stenta a crederlo e semmai pensa che i giornali non la dicano giusta ma poi si informa e capisce che è proprio cosi: quelle sono le ultime proposte. Però nessuna meraviglia.
Ora non voglio rifare per la centesima volta la storia del nostro bellissimo Arsenale ma è bene riportare qualcosa alla memoria
L'Arsenale è una struttura imponente sul modello del suo fratello maggiore di Vienna ( a proposito Vienna con le elezioni di pochi giorni fa ha conservato la sua amministrazione di sinistra ora diventata rosso-verde).
Dismesso dai militari, per Verona si era presentata una occasione unica, grandiosa: la possibilità di progettare in grande, di costruire il volto culturale della città.
Lì si pensava potesse esserci il museo di Storia Naturale con annesso uno splendido orto botanico (c'è a Padova, c'è a Modena...) e il completamento del Museo di Castelvecchio con la contemporanea e necessaria acquisizione del Circolo ufficiali che ancora, inutilmente, occupa tutta la parte a monte del castello che dà sull'Adige compresa la splendida terrazza sul fiume
Questo una quindicina di anni fa.
Poi sono cominciate le alzate di ingegno dei vari assessori e consiglieri del centro destra.
Uno stenta a crederlo però ci fu chi propose una grande birreria tirolese, chi un grande parco divertimenti, chi la città dei giochi, chi il magazzino per l'Ente Lirico, chi il museo dei costumi delle opere areniane, chi la caserma dei carabinieri.... e ora, eccome no, appartamenti e negozi.
E intanto va tutto in rovina.
La manifesta incapacità dei nostri amministratori di capire, di rendersi conto di quel che si trovano ad avere, di quello che abbiamo ereditato di bellezza, di cultura, di quello che ne potremmo ottenere per noi e per quelli che verranno, alla fin fine li rende invulnerabili. Come si fa a discutere con costoro? Finiscono per essere inattaccabili perché non ci sono argomenti comuni tra noi e loro. Neppure il linguaggio. Alfabeti e lingue diversi, incomunicabili.
Giorgio Bragaja
12 novembre 2010
Intervento a radio popolare 12-11-2010 su fai da te, assessore Rossi e altro.
Con le acque dell'alluvione il Veneto, in questi giorni, è stato sommerso anche dalla melma di un insopportabile razzismo traboccato dalle dichiarazioni di politici, da resoconti giornalistici e televisivi e persino dalle battute della celebre Olga di Silvino Gonzato su “L'Arena”.
I “calcinacci di Pompei” del sempreunto governatore del Veneto Zaia, contrapposti alle case allagate del veneto, il dolore dignitoso dei veneti contrapposto a quello urlato e becero dei meridionali, il “fai da te”, l'operosità dei veronesi, dei vicentini, dei padovani, contrapposto alla indolenza supplice dei napoletani e dei siciliani.
Quel che avevo da dire, che mi sentivo di dire, sulla disastrosa alluvione e sul “fai da te” nostrano, tutto veneto, sul dissesto idrogeologico fatto in casa, l'ho già detto la settimana scorsa sempre qui da Radio Popolare guadagnandomi, insieme, insulti e apprezzamenti e, per chi volesse, la trascrizione di quell'intervento la può trovare su “il blog di Giorgio Bragaja” o sul sito di Radio Popolare.
Voglio parlare adesso della vicenda dell'assessore comunale Mario Rossi ingiustamente relegata sul versante tragicomico da giornali e televisioni ma che ha, invece, secondo me, un senso meno macchiettistico, più serio.
Riepiloghiamo: un mese fa, circa, Mario Rossi esponente di primo piano dell' UDC veronese, consigliere comunale e consigliere provinciale, viene nominato assessore al Comune di Verona e, come impone la legge sugli Enti Locali, si dimette sia da consigliere comunale che da consigliere provinciale.
La settimana scorsa, intervenendo in un convegno del suo partito, Rossi punta il dito sugli emolumenti troppo alti dei dirigenti comunali e degli amministratori delle aziende pubbliche e, dato che c'è, afferma che il capo ufficio stampa del sindaco, Roberto Bolis, esorbiterebbe dalle sue funzioni, sarebbe fin troppo bravo tanto che, in pratica, sarebbe lui il vero sindaco di Verona.
E' vero, una cosa così uno la può anche pensare ma, se è assessore della giunta Tosi, farebbe meglio a tenersela per se.
Tosi si infuria e lo caccia dalla Giunta.
Rossi si scusa ma Tosi conferma la defenestrazione e Rossi resta, come si usa dire, “in braghe di tela” perché, ora, non è più assessore, non è più consigliere comunale non è più consigliere provinciale.
Peggio di così non poteva andargli e i media lo prendono un po' in giro.
Io la vedo diversamente e mi spiego.
Parto da una constatazione: la reazione di Tosi è stata esagerata. In fondo Rossi non ha espresso quel giudizio in Consiglio Comunale ma in una riunione del suo partito, si è scusato, altri assessori avevano, in altre occasioni, criticato Tosi senza essere cacciati.....
Ma quelle altre critiche, quelle degli altri assessori, riguardavano singoli atti del sindaco non attenevano alla sua credibilità in quanto sindaco ma, proprio per questo, Tosi avrebbe dimostrato l'inattendibilità della critica di Rossi solo se l'avesse considerata una battuta o poco più e, come tale, declassata.
E invece la reazione, esagerata, ha dato peso alla critica e ha mostrato che Rossi aveva toccato un tasto delicato, un nervo scoperto.
Sono tanti in città, soprattutto negli ambienti dell'informazione, e non solo, a ritenere che, effettivamente, il portavoce del sindaco, Bolis, sia uno che vuole comandare e che “comanda”.
Del resto la sua formazione, nella politica attiva, oltre che nella professione, è più antica e di più sostanza di quella di Tosi e la caratteristica preminente dell'amministrazione Tosi non è la continua esternazione mediatica? Proprio il terreno di Bolis?
E cioè l'esposizione martellante del nulla di fatto, del dichiarato, dell'appariscente, del rappresentato, del di là da venire, dell'apparso e subito scomparso.
Pensiamo alle ronde leghiste presentate con grande clamore due anni fa in piazza Erbe e scomparse nelle nebbie della periferia tra lo scherno generale, alle ordinanze e ai divieti anti merendine, al tunnel e alla tranvia sommersi dalle carte, a Verona capitale del mondo di questo e di quello, alle bolse sagre strapaesane nelle antiche piazze il tutto tra il fumo delle continue apparizioni in televisione sempre più ripetitive e noiose e le dichiarazioni tipo i “quattro sassi” di San Zeno e di lungadige Capuleti.
Insomma una politica quasi esclusivamente mediatica per riempire il vuoto delle realizzazioni non fatte, la politica, cioè, costruita in buona parte dal suo portavoce.
Il povero assessore Rossi aveva centrato il bersaglio.
In un certo senso aveva mostrato il re nudo e il re lo ha cacciato.
Giorgio Bragaja
Con le acque dell'alluvione il Veneto, in questi giorni, è stato sommerso anche dalla melma di un insopportabile razzismo traboccato dalle dichiarazioni di politici, da resoconti giornalistici e televisivi e persino dalle battute della celebre Olga di Silvino Gonzato su “L'Arena”.
I “calcinacci di Pompei” del sempreunto governatore del Veneto Zaia, contrapposti alle case allagate del veneto, il dolore dignitoso dei veneti contrapposto a quello urlato e becero dei meridionali, il “fai da te”, l'operosità dei veronesi, dei vicentini, dei padovani, contrapposto alla indolenza supplice dei napoletani e dei siciliani.
Quel che avevo da dire, che mi sentivo di dire, sulla disastrosa alluvione e sul “fai da te” nostrano, tutto veneto, sul dissesto idrogeologico fatto in casa, l'ho già detto la settimana scorsa sempre qui da Radio Popolare guadagnandomi, insieme, insulti e apprezzamenti e, per chi volesse, la trascrizione di quell'intervento la può trovare su “il blog di Giorgio Bragaja” o sul sito di Radio Popolare.
Voglio parlare adesso della vicenda dell'assessore comunale Mario Rossi ingiustamente relegata sul versante tragicomico da giornali e televisioni ma che ha, invece, secondo me, un senso meno macchiettistico, più serio.
Riepiloghiamo: un mese fa, circa, Mario Rossi esponente di primo piano dell' UDC veronese, consigliere comunale e consigliere provinciale, viene nominato assessore al Comune di Verona e, come impone la legge sugli Enti Locali, si dimette sia da consigliere comunale che da consigliere provinciale.
La settimana scorsa, intervenendo in un convegno del suo partito, Rossi punta il dito sugli emolumenti troppo alti dei dirigenti comunali e degli amministratori delle aziende pubbliche e, dato che c'è, afferma che il capo ufficio stampa del sindaco, Roberto Bolis, esorbiterebbe dalle sue funzioni, sarebbe fin troppo bravo tanto che, in pratica, sarebbe lui il vero sindaco di Verona.
E' vero, una cosa così uno la può anche pensare ma, se è assessore della giunta Tosi, farebbe meglio a tenersela per se.
Tosi si infuria e lo caccia dalla Giunta.
Rossi si scusa ma Tosi conferma la defenestrazione e Rossi resta, come si usa dire, “in braghe di tela” perché, ora, non è più assessore, non è più consigliere comunale non è più consigliere provinciale.
Peggio di così non poteva andargli e i media lo prendono un po' in giro.
Io la vedo diversamente e mi spiego.
Parto da una constatazione: la reazione di Tosi è stata esagerata. In fondo Rossi non ha espresso quel giudizio in Consiglio Comunale ma in una riunione del suo partito, si è scusato, altri assessori avevano, in altre occasioni, criticato Tosi senza essere cacciati.....
Ma quelle altre critiche, quelle degli altri assessori, riguardavano singoli atti del sindaco non attenevano alla sua credibilità in quanto sindaco ma, proprio per questo, Tosi avrebbe dimostrato l'inattendibilità della critica di Rossi solo se l'avesse considerata una battuta o poco più e, come tale, declassata.
E invece la reazione, esagerata, ha dato peso alla critica e ha mostrato che Rossi aveva toccato un tasto delicato, un nervo scoperto.
Sono tanti in città, soprattutto negli ambienti dell'informazione, e non solo, a ritenere che, effettivamente, il portavoce del sindaco, Bolis, sia uno che vuole comandare e che “comanda”.
Del resto la sua formazione, nella politica attiva, oltre che nella professione, è più antica e di più sostanza di quella di Tosi e la caratteristica preminente dell'amministrazione Tosi non è la continua esternazione mediatica? Proprio il terreno di Bolis?
E cioè l'esposizione martellante del nulla di fatto, del dichiarato, dell'appariscente, del rappresentato, del di là da venire, dell'apparso e subito scomparso.
Pensiamo alle ronde leghiste presentate con grande clamore due anni fa in piazza Erbe e scomparse nelle nebbie della periferia tra lo scherno generale, alle ordinanze e ai divieti anti merendine, al tunnel e alla tranvia sommersi dalle carte, a Verona capitale del mondo di questo e di quello, alle bolse sagre strapaesane nelle antiche piazze il tutto tra il fumo delle continue apparizioni in televisione sempre più ripetitive e noiose e le dichiarazioni tipo i “quattro sassi” di San Zeno e di lungadige Capuleti.
Insomma una politica quasi esclusivamente mediatica per riempire il vuoto delle realizzazioni non fatte, la politica, cioè, costruita in buona parte dal suo portavoce.
Il povero assessore Rossi aveva centrato il bersaglio.
In un certo senso aveva mostrato il re nudo e il re lo ha cacciato.
Giorgio Bragaja
06 novembre 2010
Intervento a radiopop 5-11-2010 pioggia e cemento,.. anche l'Adige
La senatrice veronese del PdL, Cinzia Bonfrisco, così riportano i giornali, dichiara: “ mi sono attivata per far giungere a Verona il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso”.
Con tutto l'Est veronese sotto acqua, con la gente di Monteforte e Soave, alla disperazione, con frane e smottamenti nelle nostre montagne e sul lago di Garda, se la senatrice Bonfrisco non si fosse “attivata” Bertolaso che, appunto, è il capo della Protezione Civile sarebbe andato in vacanza alle Bahamas?
Miserie. Sicuramente la senatrice avrebbe fatto meglio ad “attivarsi” prima per impedire che il suo Governo tagliasse, come ha fatto, di oltre il 60% i fondi per l'ambiente.
Dunque un disastro, una tragedia per intere popolazioni nel veronese e in tutto il Veneto.
Già, il Veneto. Il Veneto è il territorio che, in Italia, è stato il più stravolto e in tempo più breve da generazioni di amministratori pubblici irresponsabili.
L'Istat (l'Istituto nazionale di statistica) rileva che: ogni anno,tra il 1978 e il 1985, nel Veneto, sono stati edificati quasi 11 milioni di metri cubi di capannoni.
Poi dal 1986 al 1993 sono stati oltre 18 milioni di metri cubi all'anno per salire ancora negli anni successivi a oltre 20 milioni di metri cubi Poi un balzo: nel 2000 27 milioni di metri cubi, 38 nel 2002 e così via.
Per le abitazioni, negli anni '80 e '90, vennero rilasciate concessioni edilizie pari a 10 milioni di metri cubi l'anno. Nel 2002 sono diventate14 milioni, nel 2003 quasi 16, nel 2004 oltre 17.
La superficie agraria nel Veneto, in pianura e in montagna, in 20 anni è diminuita del 30 %.
Ora, in provincia di Verona, si è deciso, con il progetto del MotorCity tra Vigasio e Trevenzuolo, di gettare una colata di cemento su 4 milioni di metri quadrati di superficie agraria che non assorbirà più l'acqua piovana.
E con un parco divertimenti grande quasi il doppio di Gardaland e un Centro Commerciale cinque volte più grande della “Grande Mela”.
Non c'entra “Roma ladrona”. In Veneto c'è stato un furto di territorio, una devastazione ambientale a chilometro zero, tutta roba nostra, Doc, Denominazione di origine controllata al 100%.
Nell'area veneta, oggi colpita dall'alluvione, sempre dati Istat, ci sono 80 mila abitazioni senza inquilini, vuote, 9 mila solo a Verona.
Negli ultimi 6 anni i Comuni veneti hanno autorizzato 38 milioni di metri cubi per capannoni e 18 milioni di metri cubi per abitazioni.
Anche se rimanessero costanti i tassi di incremento demografico, immigrati compresi, ci vorrebbero15 anni per utilizzare tutte le abitazioni costruite.
Una follia programmata sulla pelle dei cittadini e sui conti in banca dei soliti pochi.
Il senatore leghista Bricolo ha chiesto che vengano tolti dal bilancio dello Stato i soldi per le celebrazioni dell'unità d'Italia per aiutare le popolazioni colpite dall'alluvione.
Non i soldi, molti, per il devastante ponte sullo stretto di Messina ma i soldi, pochi, per le celebrazioni dell' unità d'Italia.
E ora parliamo del nostro fiume, l'Adige. Facciamo pure tutti gli scongiuri del caso ma penso sia meglio parlare prima piuttosto che piangere dopo.
Il 31 gennaio del 2003 “L'Arena” pubblicò un mio intervento con il quale ricordavo la piena del 1966 e affermavo che in quella circostanza la nostra città si salvò solo per alcune straordinarie circostanze favorevoli.
Durante quella piena l'Adige, a Verona, era ancora in “magra” ( oggi no) mentre, invece, a nord, ruppe in nove punti e Trento fu completamente allagata alleggerendo così la portata del fiume prima che l'ondata di piena arrivasse da noi.
La massima piovosità era concentrata non da noi ma nell'area del Brenta, il lago di Garda era “basso” (oggi no) e così ebbe modo di accogliere l'acqua proveniente dalla galleria scolmatrce di Mori-Torbole e il Mincio poteva scaricare a Sud e il secondo affluente dell'Adige, il Noce, fu imbrigliato dal serbatoio trentino di Santa Giustina.
Tutte quelle condizioni comportarono la salvezza di Verona che, tuttavia, quando arrivò il colmo della piena, subì danni nei muraglioni e zone della città e della periferia furono allagate.
Ma ora le cose sono cambiate: Trento imparò la lezione, incanalò i torrenti e gli affluenti e murò la città con il risultato però di rendere il fiume più alimentato, con più portata e più veloce e dunque più pericoloso per Verona.
Concludevo quell'intervento così: “se oggi, 2003, dovessero ripetersi le condizioni atmosferiche di allora Verona andrebbe sotto” e chiedevo che il Comune di Verona programmasse interventi coordinati con Trento e Mantova per mettere in sicurezza il territorio percorso dal fiume.
L'allora assessore regionale Giorgetti mi accusò di fare dell'allarmismo dicendo che Verona non era a rischio perché si era fatta la pulizia e la manutenzione degli argini e che in caso di piena bastava la galleria di Mori-Torbole.
Cioè non si era fatto niente. Da allora più nessuna notizia.
Sarebbe bene che qualche consigliere comunale e provinciale chiedesse al sindaco e al Presidente della Provincia se con Trento e con Mantova è stato concordato di fare qualcosa o, meglio ancora, se è stato fatto qualcosa.
Temo che non sia stato fatto nulla. Speriamo.
Giorgio Bragaja
La senatrice veronese del PdL, Cinzia Bonfrisco, così riportano i giornali, dichiara: “ mi sono attivata per far giungere a Verona il capo della Protezione Civile Guido Bertolaso”.
Con tutto l'Est veronese sotto acqua, con la gente di Monteforte e Soave, alla disperazione, con frane e smottamenti nelle nostre montagne e sul lago di Garda, se la senatrice Bonfrisco non si fosse “attivata” Bertolaso che, appunto, è il capo della Protezione Civile sarebbe andato in vacanza alle Bahamas?
Miserie. Sicuramente la senatrice avrebbe fatto meglio ad “attivarsi” prima per impedire che il suo Governo tagliasse, come ha fatto, di oltre il 60% i fondi per l'ambiente.
Dunque un disastro, una tragedia per intere popolazioni nel veronese e in tutto il Veneto.
Già, il Veneto. Il Veneto è il territorio che, in Italia, è stato il più stravolto e in tempo più breve da generazioni di amministratori pubblici irresponsabili.
L'Istat (l'Istituto nazionale di statistica) rileva che: ogni anno,tra il 1978 e il 1985, nel Veneto, sono stati edificati quasi 11 milioni di metri cubi di capannoni.
Poi dal 1986 al 1993 sono stati oltre 18 milioni di metri cubi all'anno per salire ancora negli anni successivi a oltre 20 milioni di metri cubi Poi un balzo: nel 2000 27 milioni di metri cubi, 38 nel 2002 e così via.
Per le abitazioni, negli anni '80 e '90, vennero rilasciate concessioni edilizie pari a 10 milioni di metri cubi l'anno. Nel 2002 sono diventate14 milioni, nel 2003 quasi 16, nel 2004 oltre 17.
La superficie agraria nel Veneto, in pianura e in montagna, in 20 anni è diminuita del 30 %.
Ora, in provincia di Verona, si è deciso, con il progetto del MotorCity tra Vigasio e Trevenzuolo, di gettare una colata di cemento su 4 milioni di metri quadrati di superficie agraria che non assorbirà più l'acqua piovana.
E con un parco divertimenti grande quasi il doppio di Gardaland e un Centro Commerciale cinque volte più grande della “Grande Mela”.
Non c'entra “Roma ladrona”. In Veneto c'è stato un furto di territorio, una devastazione ambientale a chilometro zero, tutta roba nostra, Doc, Denominazione di origine controllata al 100%.
Nell'area veneta, oggi colpita dall'alluvione, sempre dati Istat, ci sono 80 mila abitazioni senza inquilini, vuote, 9 mila solo a Verona.
Negli ultimi 6 anni i Comuni veneti hanno autorizzato 38 milioni di metri cubi per capannoni e 18 milioni di metri cubi per abitazioni.
Anche se rimanessero costanti i tassi di incremento demografico, immigrati compresi, ci vorrebbero15 anni per utilizzare tutte le abitazioni costruite.
Una follia programmata sulla pelle dei cittadini e sui conti in banca dei soliti pochi.
Il senatore leghista Bricolo ha chiesto che vengano tolti dal bilancio dello Stato i soldi per le celebrazioni dell'unità d'Italia per aiutare le popolazioni colpite dall'alluvione.
Non i soldi, molti, per il devastante ponte sullo stretto di Messina ma i soldi, pochi, per le celebrazioni dell' unità d'Italia.
E ora parliamo del nostro fiume, l'Adige. Facciamo pure tutti gli scongiuri del caso ma penso sia meglio parlare prima piuttosto che piangere dopo.
Il 31 gennaio del 2003 “L'Arena” pubblicò un mio intervento con il quale ricordavo la piena del 1966 e affermavo che in quella circostanza la nostra città si salvò solo per alcune straordinarie circostanze favorevoli.
Durante quella piena l'Adige, a Verona, era ancora in “magra” ( oggi no) mentre, invece, a nord, ruppe in nove punti e Trento fu completamente allagata alleggerendo così la portata del fiume prima che l'ondata di piena arrivasse da noi.
La massima piovosità era concentrata non da noi ma nell'area del Brenta, il lago di Garda era “basso” (oggi no) e così ebbe modo di accogliere l'acqua proveniente dalla galleria scolmatrce di Mori-Torbole e il Mincio poteva scaricare a Sud e il secondo affluente dell'Adige, il Noce, fu imbrigliato dal serbatoio trentino di Santa Giustina.
Tutte quelle condizioni comportarono la salvezza di Verona che, tuttavia, quando arrivò il colmo della piena, subì danni nei muraglioni e zone della città e della periferia furono allagate.
Ma ora le cose sono cambiate: Trento imparò la lezione, incanalò i torrenti e gli affluenti e murò la città con il risultato però di rendere il fiume più alimentato, con più portata e più veloce e dunque più pericoloso per Verona.
Concludevo quell'intervento così: “se oggi, 2003, dovessero ripetersi le condizioni atmosferiche di allora Verona andrebbe sotto” e chiedevo che il Comune di Verona programmasse interventi coordinati con Trento e Mantova per mettere in sicurezza il territorio percorso dal fiume.
L'allora assessore regionale Giorgetti mi accusò di fare dell'allarmismo dicendo che Verona non era a rischio perché si era fatta la pulizia e la manutenzione degli argini e che in caso di piena bastava la galleria di Mori-Torbole.
Cioè non si era fatto niente. Da allora più nessuna notizia.
Sarebbe bene che qualche consigliere comunale e provinciale chiedesse al sindaco e al Presidente della Provincia se con Trento e con Mantova è stato concordato di fare qualcosa o, meglio ancora, se è stato fatto qualcosa.
Temo che non sia stato fatto nulla. Speriamo.
Giorgio Bragaja
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