11 dicembre 2010

intervento a radiopop 10-12-2010 su “L'Arena” e il Censis, piazza Erbe...

Su il giornale “L'Arena” di un paio di giorni fa l'articolo più importante era scritto da Carlo Pelanda, economista veronese, e trattava dell'ultimo rapporto del Censis (Centro studi e investimenti sociali) un istituto di indagine socio-economica che da circa un cinquantennio produce studi e indagini sullo stato delle cose in Italia.

Quast'anno il Censis è molto critico su quel che sta avvenendo nel nostro Paese e Pelanda, cioè “L'Arena”,non è d'accordo.
Dico “L'Arena” perché quando il direttore di un giornale affida la stesura e la firma di quello che si chiama “articolo di fondo” cioè quello situato nella prima colonna della prima pagina del giornale
, vuol dire che quell'articolo esprime la linea editoriale (politica) del giornale.
Ricordo che “L'Arena” è il giornale che, orgogliosamente, ci ricorda di essere sempre uscito, senza interruzioni, per 144 anni.

Si, è vero, è sempre uscito ininterrottamente anche quando altri giornali come il socialista “Verona del Popolo”, il cattolico “Corriere del Mattino, il comunista “L'Unità” venivano chiusi e le loro sedi devastate perché informavano mentre “L'Arena”, che non informava, poteva tranquillamente uscire.

Ma vediamo ora cosa dice il Censis e, poi, cosa, invece, dice “L'Arena”.

Il Censis ci dice che l'icona dell'individualismo, del consumismo, dell'uomo solo al comando si è rotta, che un lungo ciclo economico, politico, sociale e psicologico si è concluso lasciando sul campo fragilità e depressione nelle vite singolari e nella vita collettiva.

Che viviamo in una società priva di bussola, in cui al desiderio di fare, di realizzare per il futuro, si sostituisce il godimento immediato e un desiderio deviato su oggetti e su consumi superflui.
All'autorità della legge si sostituisce la frammentazione di poteri e norme inefficaci.

Che non è di autoritarimo che ci sarebbe bisogno ma di autorità e che non esistono in Italia quelle sedi di auctoritas che potrebbero o dovrebbero ridare forza alla legge.
Che bisognerebbe insistere sul rilancio del desiderio perché tornare a desiderare è la virtù civile necessaria per riattivare la dinamica di una società ora troppo appagata e appiattita.
Che siamo alla fine della leadership troppo personalizzata, alla fine del mito della governabilità e del decisionismo, alla fine della fede nei miracoli dell'unto dal Signore, alla fine della credenza nelle magnifiche sorti di un capitalismo che sforna con continuità oggetti di consumo.

Tra i tanti dati e tabelle del Censis ne voglio citare solo uno.
Il 56% delle scuole italiane (dalla materna alle superiori) ha chiesto in quest'anno scolastico un contributo volontario alle famiglie, aggiuntivo alle tasse scolastiche e al costo della mensa.
La cifra media versata è pari a 80 euro, con punte fino a 100 euro alle primarie e 260 euro nei licei.
Le famiglie hanno anche collaborato a lavori di piccola manutenzione (come ridipingere le pareti) nel 13% degli edifici scolastici.
In definitiva una indagine sulla quale avrei anche delle osservazioni ma non si può dire che sia approssimata o banale.

Sentite invece cosa scrive “L'Arena”.
“L'idea di un Italia in declino antropologico, precursore di quello economico, non corrisponde alla realtà...il fatto è che molta gente non vuole più fare lavori considerati troppo faticosi e con poco status e ciò apre una domanda di lavoro per immigrati disposti a farli in quanto partono da condizioni di povertà”.
“L'Arena” non dice, ma lo dico io, che spesso molti imprenditori nell'edlizia, nell'agricoltura... preferiscono assumere immigrati perché ciò comporta meno salario, magari in nero, e nessun diritto per chi viene assunto e meno doveri per chi assume.
Il 30% di incidenti sul lavoro riguarda immigrati.
“L'Arena” così prosegue: “L'economia tecnologica e della conoscenza si è sviluppata molto più velocemente della capacità del sistema educativo di formare adeguatamente gli individui. Questo deficit di istruzione fa sì che la gente non capisce il nuovo sistema finanziario e vi partecipa facendosi abbindolare”. Grandioso!
“L'Arena” dice che la scuola non funziona bene ma non dice che il Governo ha tagliato gli stanziamenti proprio per la scuola e l'istruzione.
E ancora: “L'Arena” afferma che i risparmiatori si fanno “abbindolare” perché sono ignoranti e magari anche stupidi.

Se il padrone della Parmalat butta sul lastrico e nella disperazione migliaia di famiglie che gli avevano affidato i loro risparmi, per Pelanda e per “L'Arena”, appare quasi come una colpa, una dabbenaggine di quella povera gente che dopo 40 anni di lavoro, andati in pensione, non hanno avuto l'accortezza di mettersi a studiare scienza delle finanze e hanno affidato, incautamente, i soldi della liquidazione agli speculatori.
Il giornale non dice che certi meccanismi truffaldini della finanza sono stati inventati apposta per permettere tutto questo. Più le cose sono complicate più facile è rubare.

Un secolo e mezzo fa un tale, trattando del mondo della economia e della finanza, scrisse: “Il capitalismo sta riducendo il mondo ad un informe ammasso di merci”.
In quell'ammasso di merci potremmo, oggi, collocare anche qualche giornale.
I libri di quel tale non si studiano a scuola e la chiesa cattolica provvide a inserirli nell' ”Indice dei libri proibiti”. Chi li leggeva faceva peccato e, in certi casi, veniva scomunicato. I padroni dell'alta finanza, invece, potevano fare la comunione.

Altro argomento.

In piazza Erbe, sulla torre dei Lamberti, a metà della sua altezza, incombe uno smisurato cartellone con un brutto disegno e la scritta “I vigili del fuoco e il Comune di Verona augurano buone feste”.
La colonna con il leone viene aggredita dal volgare albero di natale con la pubblicità del pandoro Bauli, l'arco della costa è coperto dal cartellone che invita al mercato tedesco di piazza dei Signori, e così a porta Nuova e porta Borsari.

Pare che l'assessore alla cultura Erminia Perbellini, che cura anche gli eventi artistici della città, a casa sua abbia, alle pareti, quadri di autore molto belli.
E allora perché queste schifezze nelle nostre piazze?
Perché, come dice Alberto Sordi, nel bel film di Mario Monicelli “Il marchese del Grillo”, rivolto ai poveracci dell'osteria che si lamentano del diverso trattamento riservato dalle guardie a lui, marchese, e a loro: “Perché io so' io e voi nun siete un cazzo”.


Giorgio Bragaja

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