Ci si vedeva in piazza Erbe davanti al banco di frutta e verdura di Armando e Natale: pacco di giornali e libri sotto il braccio, calzoni larghi “all'inglese” e sandali anche d'inverno. Mia moglie diceva che, a modo suo, era elegantissimo.
Negli ultimi anni mi telefonava spesso e mi leggeva alcuni suoi “pensieri” che avrebbero dovuto far parte di un libro che, poi, non c'è stato.
Ce l'aveva, ancora, con gli ipocriti, con i basabanchi e i basaBanche, con i banchieri opusdeini, con i grandi ladri riveriti dai piccoli opportunisti, con i moralisti senza morale, con le intelligenze mercenarie, con i preti televisivi “infasanadi”, con la sinistra per modo di dire... cioè con tutti quelli che comandano a Verona. Per cui vita grama. Ma non triste. Anzi.
Gli incontri, a casa sua, con gli altri “infedeli”, erano allegri, leggeri, con lui tra montagne di carte, disegni, bicchieri di vino e gatti nevrastenici rifugiati sull'armadio, felice all'idea che un nuovo numero del giornale si stava formando.
Cesare è stato, per tutta la sua vita, un commovente caos di idee chiare.
Mi piace ricordarlo con una poesia di Edoardo Galeano, “L'utopia”
“Lei è all'orizzonte.
Mi avvicino di due passi,
lei si allontana di due
passi.
Cammino per dieci passi e
l'orizzonte si sposta
dieci passi più in là.
Per quanto io cammini,
non la raggiungerò mai.
A cosa serve l'utopia?
Serve a questo:
a camminare.”
...a camminare. Anche se con i sandali.
Giorgio Bragaja
Verona, 24/03/2007
01 aprile 2007
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