25 aprile 2014

Intervento a radiopop 25-04-2014 Tosi, galeotti e poliziotti

Intervento a radiopop 25-04-2014 Tosi, galeotti e poliziotti Nell'ultimo numero del periodico satirico veronese “L'ombroso” la prima pagina è tutta occupata da una bella vignetta firmata Fra casso nella quale campeggia Tosi, il sindaco Tosi. Vi è rappresentato a cavallo in costume medievale mentre scende una china verso un paesaggio di opere incompiute. Tosi nel disegno è a culo nudo e dalla sua bocca esce il fumetto con scritto “Venitemi dietro”. L'allusione a supposti gusti personali del sindaco è pesante. Gusti personali che sono fatti suoi e tali devono restare. Se, però, in una città come Verona compare e viene diffusa pubblicamente una vignetta simile e, che io sappia, il diretto interessato in qualche modo non reagisce, significa che siamo all'agonia che precede la fine. Chi sostiene, come sostiene l'informazione locale, che Tosi è pronto per il salto europeo cioè per la candidatura alle prossime elezioni per il Consiglio d'Europa, si illude. Il bubbone Tosi sta per scoppiare e quel che ne uscirà non saranno effluvi di Felce Azzurra o Chanel. Il vicesindaco Giacino, in carcere per corruzione e concussione, si è fatto trasferire in infermeria perché pare abbia detto che lui, in cella, non ci sta bene, non si sente a suo agio, mentre tutti gli altri detenuti in cella invece, secondo lui, sono felici di starci. La televisione ci ha mostrato poliziotti che applaudono i loro colleghi che hanno ucciso il giovane Aldrovandi. E' un male antico. Nel dopoguerra, con il ministro democristiano agli Interni Scelba, furono cacciati dalla Polizia tutti gli agenti ritenuti di sinistra o con parenti di sinistra. I postumi di quella decisione di Scelba si sentono ancora oggi. Anche a Verona ci fu qualcosa di simile. Tutti i lavoratori del nostro Arsenale, mi pare 180, iscritti alla CGIL, furono licenziati. Denunciai il fatto su “L'Unità” con un'intervista a un capo operaio dell'Arsenale, Armando Cipriani. Minacciarono di denunciarmi ma non lo fecero perché lui, Armando Cipriani, aveva soltanto detto la verità e io non avevo fatto altro che riportarla sul giornale. Giorgio Bragaja

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